TERAMO – Si sposta su disquisizioni di carattere tributario la discussione sull’Iva da recuperare sui versamenti della tassa sui rifiuti degli anni tra il 2007 e il 2009, perché sia la Cassazione che la Corte Costituzionale l’hanno definita non dovuta. E gli attori sono il Comune e la Teramo Ambiente. A scatenare il caso su chi debba richiederne il rimborso all’Agenzia delle Entrate piuttosto che allo Stato, la risposta, affidata a ‘La Città’, dell’amministratore delegato Pietro Pelagatti al sindaco Gianguido D’Alberto che aveva chiesto di rendere più efficaci le azioni di recupero di circa 2,4 milioni di euro dei contribuenti.
Il sindaco D’Alberto è di parere opposto sulla titolarità del gettito fiscale, che Pelagatti aveva sottolineato essere dell’amministrazione comunale (“Ente esponenziale rispetto ai cittadini”, ndr) che ne decide l’importo ogni anno e le cui fatture portano la sua intestazione quale detentore del credito principale: “Non vi è alcun dubbio – secondo il primo cittadino – che la titolarità del credito da esigere risieda in capo alla stessa TeAm la quale ha fatturato a cittadini e imprese teramani la “TIA 1” aumentata dell’Iva, versando quest’ultima all’erario. Non può quindi che essere legittimata solo la TeAm a richiedere all’erario l’IVA versata e non dovuta – sostiene D’Alberto -“. E analoga contrapposizione risiede anche nella valutazione su quale sia il percorso procedurale da seguire per riavere il rimborso, laddove il sindaco ritiene che essendo “un rapporto di natura privatistica quello che intercorre tra il cittadino e la TeAm, le controversie nella raccolta dei rifiuti sono devolvibili al giudice ordinario” e quelle tra la partecipata è l’Erario “sono esclusivamente di competenza del giudice tributario”. Ma il nodo resta sempre lo stesso, che l’Ad di Teramo Ambiente ieri è tornato a ripetere, replicando al primo cittadino attraverso una domanda: “A chi appartengono gli euro, quelli dell’Iva non dovuta, che il Comune pretende che siano recuperati – dice Pelagatti -? Semplice e tacito: del cittadino. Allora come può un terzo, sia esso la TeAm o il Comune, a sostituirsi nella richiesta del rimborso se i soldi sono di un altro?”. Fin qui sembrerebbe elementare, alla ‘caro Watson’, così come elementare potrebbe definirsi capire l’impossibilità di incassare un eventuale recupero di quelle somme per ‘spalmarle’ sul Per con l’obiettivo di risparmiare sulla Tari, proprio sono in ballo soldi di altri, soldi dei cittadini.
Ma il sindaco trova altri motivi di disaccordo con le interpretazioni dell’amministratore della partecipata, ovvero il voler sminuire la portata dell’interesse pubblico perché in ballo ci sarebbero ‘spiccioli’ da recuperare: “La sostanza è questa: i cittadini teramani devono ottenere il ristoro dell’Iva applicata sulla Tia all’epoca dalla TeAm, e risultata non dovuta, pari ad un importo complessivo di circa 2,5 milioni di euro per ottenere i quali non sono scaduti i termini di prescrizione. A nulla valgono i tentativi di sminuirne la portata rappresentando che tale cifra si tradurrebbe in pochi euro per i cittadini – sostiene D’Alberto -; si tratta comunque di importi che gli utenti hanno pagato, che non erano dovuti e che sarebbero comunque un ristoro per le famiglie e le imprese”. L’impasse va superato, anche perché a conferma delle dichiarazioni dell’amministratore Pelagatti, esisterebbero ricorsi di cittadini attraverso le associazioni consumatori che in quel caso avrebbero fermato la prescrizione (che va calcolata dagli anni 2007-2009) e che potrebbero essere definite breve.